Le voci di spot pubblicitari sono costose e vanno bene solo per produzioni importanti”. Falso!

Ragazzi, è ufficiale. È finita l’epoca delle superproduzioni pubblicitarie nelle quali lo speaker era la ciliegina (costosa) sulla torta. Le produzioni sono aumentate di numero e contemporaneamente diminuiti i budget a disposizione. Ergo anche per una produzione a basso costo, il tema del voice over pubblicitario è un falso problema. Le voci degli spot ci sono, sono disponibili e pronte a incidere qualunque produzione. Ma in questa sede non vogliamo unirci ai piagnistei che caratterizzano gli speaker ancorati a tempi ormai passati, al contrario: oggi elogiamo il lavoro low budget perché, a fronte di mezzi scarsi, produzione poco curata, attori infimi, modelle improvvisate, è possibile nobilitare uno spot pubblicitario con la voce giusta capace di ribaltare la situazione e offrire un’allure di eleganza e professionalità a qualsiasi audiovisivo o radio comunicato.

I produttori che vantano amicizie di lunga data con i voice over italiani lo sanno: possono contare su un supporto compatibile con ogni cifra a disposizione.

Ma allora perché in onda continuiamo a sentire spot vergognosi speakerati da voci improvvisate che scimmiottano i DJ anni ’70, con un risultato che grida VENDETTAAAA?

Scarsa conoscenza del mercato, ignoranza dei principi base della comunicazione pubblicitaria, falso mito che lo speaker pubblicitario sia costoso e non compatibile con i magri budget a disposizione, questa la semplice risposta.

Per di più considerando che oggi lo speaker ha, spesso e volentieri, a disposizione un home studio nel quale registrare senza costi aggiuntivi il proprio contributo…

Insomma, la produzione low budget può decisamente ambire a un effetto nobilitante grazie all’intervento di uno speaker professionista.

La produzione che si credeva un principe e invece è… Un rospo!

Ci sono anche i casi opposti: quelle produzioni di spot condotte seguendo un basso profilo, senza distinguere le necessità di un prodotto di livello da quelle di una produzione raffazzonata, nelle quali, pur gestendo due lire di budget, si trova il coraggio di chiedere, per poche decine di euro, liberatorie permanenti e illimitate, come se quello spot da due soldi dovesse essere sfruttato in ogni canale presente e futuro ancora da inventare (come recitano le clausole dei contratti capestro di na volta). Facciamoci una ragione: se uno spot è fatto con un budget di diecimila euro, può adar bene offrirne 400 allo speaker pubblicitario, ma senza  pretendere di poterlo utilizzare da qui all’eternità! Di solito è la televisione che genera opportunità a basso prezzo, con progetti basati più sulla quantità che sulla qualità. Ma quando questo tipo di valutazione contamina anche le produzioni pubblicitarie, si genera così una sorta di mostro nel quale la voce della pubblicità non vorrebbe mai trovarsi. Ovvero quelle produzioni che – magari per una semplice convocazione – ti ritrovi a incidere decine di takes, come se stessi doppiando un film di Sorrentino davanti al Maestro. E daje, è solo lo spot di un accessorio Amazon da quattro lire, fattene una ragione!

La voce dello spot entra sempre elegante nello studio. Il cui titolare non lo degna neanche di uno sguardo. Lo invita a recarsi nel cubicolo che gli ha riservato, sbrigando distrattamente la pratica del “cosa prendi? Acqua, caffè?” Come se nel mondo per ristorare una persona avessero inventato solo tap-water e capsule Nespresso pezzottate. E poi… cari speaker della pubblicità, benvenuti nel girone infernale di chi pensa che siete loro proprietà per la prossima ora e mezza.

Neanche una degna professionista di ben altra professione vi concederebbe il proprio corpo… pardon, gola, per questo infinito lasso di tempo.

Dentro di voi, mentre vi chiedono continue alternative (sindrome di carenza di idee e quelle poche che ci sono sono anche confuse), pensate: “tanto me ne andrò di qui prima o poi”…

Illusi!

Insomma, ci sono progetti che assumono la rilevanza di un kolossal mentre sono la classica escrezione di una formica. 

Noi voci della pubblicità siamo lì, con la nostra infinita pazienza e professionalità, a fare del nostro meglio per supportare anche questo genere di… incubi!

La capacità finita di una voce della pubblicità e la lezione di Picasso

Quando ho voglia di consolarmi di una carriera spesa a formare la mia capacità di interprete come voce televisiva e di promo tv, penso all’aneddoto che si racconta abitualmente sul grande pittore Pablo Picasso. Questi, richiesto di eseguire un ritratto a una signora, pare, dopo averla osservata intensamente, che abbia preso un lapis per disegnare il profilo del soggetto su un foglietto di carta. Al termine della performance, la donna, davanti al suo ritratto, estasiata reagì con stupore e ammirazione: il Maestro aveva colto la sua essenza. Alla richiesta di quanto sarebbe costato il dipinto, Picasso rispose: “cinque milioni di franchi”. 

“Ma come?” – rispose la donna – “Così tanto? Ci ha messo solo qualche secondo a farlo!”

E Picasso rispose: ”In verità ci ho messo tutta la vita.”

Ecco, ricordando questo aneddoto mi ricarico un po’ di tutta la vita spesa a ricercare colori, sfumature in grado di offrire di me ogni particolare nuance utile a interpretare al meglio ogni richiesta che mi sarebbe stata rivolta davanti al microfono. È questo che facciamo noi voice talent italiani: spendiamo un’intera carriera ad allenare, crescere esercitare il nostro talento e, possibilmente, non ci fermiamo mai.

Per questo, pensare che la nostra capacità sia infinita è un grande errore. Benché veniamo scritturati saltuariamente e pensiamo che stiamo perdendo giornate preziose, il nostro tempo non è infinito. Ricordiamocelo ogni volta che la nostra disponibilità viene in qualche modo presa per garantita, sfruttata, senza un adeguato riconoscimento. Questo discorso si connette con l’abitudine di accettare cachet davvero miseri, in progetti non necessariamente a basso budget. La considerazione: “tanto non avrei altro di meglio da fare” è comprensibile, ma non giustificabile.

Il nostro tempo è prezioso, cari colleghi, quale che sia il modo con il quale lo spendiamo.

Il lavoro dello speaker pubblicitario, in definitiva, è tipico dell’artista: poche giornate sicure davanti a sé e una passione sconfinata per quello che si sta facendo. Un pizzico di narcisismo e un grande amore con i quali offrire un pezzo della nostra essenza a un progetto di comunicazione.

Leave a Reply