Lo speaker pubblicitario: una professione… smart.
Da quando la tecnologia audio è passata dall’elettronica analogica a quella digitale, si è subito pensato al modo di interagire da remoto per i professionisti della voce. Qualcuno ricorderà uno degli ultimi album di The Voice, Frank Sinatra. Si intitolava “Duets” e venne registrato da Frank nel suo studio di Palm Springs, mentre tutti gli artisti di cui si circondava cantavano dalle rispettive residenze: Bono Vox sdraiato sul suo divano dagli studi STS di Dublino, Charles Aznavour dalla Francia, Aretha Franklyn direttamente dal suo studio Motown a Detroit.
Era il 1992 e la tecnologia permetteva già di cantare una voce in Europa e registrarla negli Stati Uniti, grazie alle linee telefoniche digitali ISDN. Inutile dire che quella tecnologia era appannaggio di chi aveva grandi capitali. Studi discografici in primis. Per attrezzare una sala speaker di tutto punto occorreva un investimento che sfiorava gli equivalenti di centomila euro di oggi. Ovvio che per lo speaker pubblicitario rappresentasse un investimento oneroso. Senza farvi un pippero di come è evoluta la tecnologia da allora, piombiamo pure ai giorni nostri. Avere lo studio in casa è certamente un’opportunità, l’importante è non diventarne schiavi. O peggio, essere considerati dal mattino alla sera come la voce che sta davanti al microfono è, per un attore doppiatore, una svalutazione in termini.
“Ah, mi fai questa frasetta?” – “Forza, sono solo poche righe” – “Senti appena hai un attimo ho un rifacimento, una bazzecola…”
Il rischio è quello di vedere in qualche modo svilita la propria professionalità, di essere considerati sempre lì, come una parte del mobilio della casa, un baracchino sempre aperto con il cartello “tariffe doppiaggio” in bella mostra.
Nella mia carriera di voce della pubblicità ho sempre apprezzato il contatto umano, l’incontro con le varie persone che compongono il mondo della produzione pubblicitaria: Copywriter, direttori creativi, producer, altri attori doppiatori… È fondamentale confrontarsi anche di persona per comprendere i dettagli di ciò che viene richiesto, le emozioni che si vogliono raggiungere, la profondità di una voce per il tipo di produzione…
In Italia esiste un limite cognitivo ad accettare che lo speaker lavori da casa…
Anche dall’altra parte della produzione viene spesso espressa la necessità del contatto umano. In parte per le motivazioni che ho appena espresso, molto spesso per via della mediazione doverosa delle case di produzione che convocano le voci degli spot e gestiscono il loro compenso come parte della loro consulenza all’agenzia di pubblicità… Molto spesso queste CDP hanno inoltre il loro studio di registrazione, con la necessità di movimentarlo, farlo lavorare, insomma. Finché tutto questo ha retto è andato tutto a meraviglia. Lo speaker a bordo del suo scooterone macinava chilometri da uno studio all’altro, da una televisione all’altra, come un deliveroo della voce pubblicitaria, inanellando contratti e scritture e giustificando così una vita a dir poco frenetica.
I più attivi si sono dotati di cuffie personali, da utilizzare in ogni studio per evitare contatti indesiderati con apparecchiature usate un po’ da tutti, per non parlare degli schermi per microfono (i popper stopper, per intenderci). Recentemente ho appreso di una collega che si reca alle convocazioni come speaker pubblicitaria con il proprio schermetto da montare sul microfono, per evitare vicinanza indesiderata con i pop shield usati da tutti gli altri colleghi. Un’attenzione sanitaria che oggi è diventata premonitrice.
Con l’emergenza sanitaria, lo speaker pubblicitario con lo studio a casa diventa una risorsa preziosa
Ed eccoci arrivati allo speaker pubblicitario ai tempi del Covid 19. Quella che rappresentava sino allo scorso mese un’opportunità commerciale di velocizzazione del processo produttivo, diventa ora la necessità. Si organizzano sessioni multispeaker in connessione con diverse case private dove risiedono le voci del doppiaggio, i producer, che non lavorano più dall’ufficio, scritturano le voci dei doppiatori italiani per audiolibri, promo di canali televisivi, campagne pubbicitarie, speciali televisivi per il lancio delle nuove serie tv, eccetera eccetera.
In qualche modo questa situazione emergenziale ci costringe a cambiare il modo di vedere le cose, ci suggerisce nuove strade, rivela altre opportunità. E mostra che le voci della televisione che hanno saputo dotarsi di un mini studio domestico, oggi hanno la possibilità di continuare a lavorare per questo genere di produzioni.
Certo, siamo animali sociali, e in quanto tali destinati a morire se i divieti a riunirci per assistere a uno spettacolo, a un reading o a qualsiasi momento di incontro, continueranno a vigere. Ho molti amici attori che sono sostanzialmente fermi e non lavorano, non hanno lo studio in casa e forse neanche lo vorrebbero.
Come sapete io ho il mio studio, che non è in casa ma un vero e proprio studio in centro a Milano. In questi giorni ho riattrezzato una stanza del mio appartamento con le apparecchiature necessarie per realizzare promo televisivi, campagne pubblicitarie, documentari, ovviamente audiolibri. Ma resta una grandissima nostalgia per il gusto di vedere in faccia i progettisti dei lavori cui presto la mia voce, il confronto, spesso duro, ma sempre onesto, l’incontro per capire in che contesto ti trovi e a quale punto sei della tua carriera.
Ho sempre pensato che prima o poi l’intelligenza artificiale potrà realizare la voce perfetta. E non vorrei essere in una sessione di doppiaggio on line a casa mentre questo avviene.
Non solo speaker, ma anche conduttori radiofonici, podcaster, sono tutti iperattivi tra le mura domestiche.
Concludo con una nota di costume. Sono stati prima di tutto i podcaster che hanno sdoganato l’idea di uno studio in casa, dotandosi dell’attrezzatura di base per realizzare i loro lavori. Alcuni più tecnologici, altri meno, hanno avuto il merito di dimostrare al mondo che volendo farlo, lo puoi fare, senza i tabù reverenziali di tutti i puristi dell’audio perfetto.
Con loro anche conduttori radiofonici, di livello nazionale, stanno trasmettendo i loro programmi in diretta da casa, come se fossero live in studio. Emblematico il caso del mio caro amico Paolo Dini che lavora dalla cameretta della sua splendida figlia.
Voglio salutare tutti i colleghi, i creativi, i producer che stanno lavorando da casa. Con loro un’empatia che non è frequente nel nostro mondo. Ci si augura che passi presto, ci si augura che quanto succede non ci lasci grosse ferite. Ma solo l’opportunità di diventare persone migliori.