l podcast risponde a delle regole molto particolari. Non è richiesta una bella voce, ma la capacità di creare empatia.
Adesso che mi sono cacciato in questo argomento, vediamo di districarci nell’arte del fare i podcast e del ruolo che un doppiatore pubblicitario può giocare in questo contesto. Innanzitutto chiariamo un aspetto incontrovertibile: uno speaker pubblicitario è un animale da microfono. La lettura è il suo habitat. È capace di tirare fuori musica da una pagina a caso dell’elenco del telefono. Ma basta per fare un podcast di successo? Chi vi scrive è uno speaker affermato, con tanti anni di esperienza in spot pubblicitari, campagne che hanno fatto – modestamente – la storia della pubblicità. Quindi fidatevi quando vi dico che essere un bravo speaker della pubblicità non è un’abilità che conta quando si tratta di realizzare un progetto di audio storytelling. Anzi, a volte può essere proprio l’origine del fallimento di un buon progetto di podcast narrativo.
La mia esperienza con il programma radiofonico Destini Incrociati, che mi ha valso il premio internazionale Ennio Flaiano nel 2014, può essere un buon esempio, di percorso di ricerca della… verità nella recitazione. Ero uno speaker. Esteticamente perfetto, capace, come ogni buon velocista della parola, di esprimermi al meglio nella misura dei trenta, quarantacinque secondi. Ma quando si tratta di raccontare una storia di venti, venticinque, trenta… minuti?
Troppo perfetto, troppo pulito, manca l’anima. Era quello che mi si diceva in sala di registrazione dopo la lettura delle prime prove di registrazione di Destini.
Eppure avevo scritto io il copione: lo conoscevo perfettamente. Potevo parlare col pensiero direttamente all’autore per capire cosa avesse in mente e quello (me stesso) prontamente rispondeva. Ma io restavo una “bella voce” senz’anima.
Sapete, è stata veramente dura, ma ciònonostante un percorso appassionante e ricco di momenti di crescita che ha rappresentato, in un’età decisiva – avevo 45 anni – un punto di svolta della mia carriera. Mi sono sostanzialmente destrutturato nell’essere uno speaker della pubblicità, per trovarmi a mio agio a maneggiare i concetti, le parole, i fatti e a portarli dall’altra parte del microfono arricchiti di moventi, emozioni, in ultima analisi, senso. Ero diventato un autore radiofonico e – in nuce – un produttore di podcast di successo.
Quando il podcaster ha anche una voce capace di emozionare… allora scatta la magia!
Abbiamo dunque parlato di emozioni. Che non escono fuori da un microfono senza sincerità, trasparenza, convinzione. Sotto quella crosta patinata e dorata della bella voce pubblicitaria si celava anche un cuore, ma dài? Mi ci sono volute seicento puntate, quattro anni di lavoro, un culo così per comprendere che la sbavatura, il sospiro, l’errore e la ripresa erano parte stessa del senso che volevo trasmettere con le mie storie. E al contempo, confrontandomi con altri attori doppiatori che hanno contribuito alla produzione, ho apprezzato chi naturalmente poteva raggiungere quel livello da me tanto ambito, chi ce l’aveva nel sangue, chi arrivava alla verità comunque e attraverso percorsi diversi.
Non ho molto recitato in teatro nella mia carriera. Mi sono sempre relazionato al microfono, che non ha mai perdonato nulla, al contrario del palcoscenico che valuta anche il corpo, il movimento. Il microfono ti separa dal resto di te e ti fa diventare qualcuno che non esiste. Come si rapporta dunque un attore al microfono? Che tipo di tecnica utilizza, laddove non ha il tempo di studiare la parte, il personaggio, e deve fare conto unicamente con la propria esperienza autobiografica per portare a destinazione le emozioni che il testo radiofonico richiede?
La risposta mi è arrivata immediata, sicura, rivelatrice, quando ho prodotto la prima delle numerose puntate della serie di podcast Demoni Urbani per Gliascoltabili. E adesso vi racconto com’è andata…
L’incontro con l’attore di teatro e lo scambio di esperienze preziose
Quando mi sono chiesto chi potesse essere la voce tenebrosa capace di trasferire tutte le emozioni del genere crime in una serie di podcast, ho subito pensato a Francesco Migliaccio. Non ci crederete: eravamo compagni della prima elementare (!) e nessuno dei due avrebbe mai pensato che avremmo potuto rivederci per un progetto così eccitante e ricco di contenuti. Francesco mi era stato presentato, verso il 2011, da Alberto Mancioppi, altro grande attore di teatro, cinema e doppiatore di film e serie tv, che conoscevo proprio dagli anni di militanza delle sale di doppiaggio nella gloriosa cooperativa ADC.
Francesco non ha niente a che vedere con speaker e doppiatori. Anzi, per molto tempo snobbato dal doppiaggio, che giustamente ha delle ferree regole di produttività davanti al microfono. Ha lavorato con Castri, Ronconi, si è diplomato alla Paolo Grassi. Insomma, un cv di tutto rispetto.
Due sguardi di ispezione e subito tra me e Francesco si accende la ricerca della risposta alla domanda: “ma noi ci conosciamo già?”. Non sapevamo che – scava scava – saremmo arrivati fino all’alba della vita, quando a sei anni abbiamo frequentato la prima classe elementare insieme.
Ma veniamo al nocciolo di un attore del teatro che incontra uno speaker doppiatore pubblicitario.
Francesco al microfono era timido, insicuro, pieno di dubbi e incertezze. Esattamente l’opposto di come si presentava sul palcoscenico del Piccolo Teatro quando l’ho conosciuto. Poi abbiamo cominciato a scambiarci le rispettive esperienze: lui sull’essere un attore, io nell’essere un interprete esperto di recitazione al microfono. Per un attore è importante calarsi nel personaggio descritto dal copione. ma davanti al microfono di un podcast non c’è abbastanza tempo.
È sul progetto de Gliascoltabili che ci siamo reciprocamente contaminati. Gli spiego che invece che costruire il personaggio, avrebbe dovuto attingere al bagaglio delle proprie emozioni personali e tirarle fuori all’occorrenza come fa un idraulico con le sue chiavi inglesi.
E accade la magia. Migliaccio, che prima di allora non aveva mai sfondato come speaker pubblicitario, si trasfigura e diventa un asso pigliatutto: sconvolge il pubblico del podcast Demoni Urbani con i suoi toni drammatici ma complici, tetri ma ironici. Mette tutto se stesso. Mette sul piatto ciò che di più autentico ha a disposizione: Francesco Migliaccio.
Ora che abbiamo condiviso che recitare al microfono non è come recitare a teatro, posso dirvi di avere ricevuto da Francesco una grande lezione. Anche io mi sono smontato e rimontato e il risultato non è stato lo stesso di prima: lo speaker pubblicitario molto pulito, troppo pulito ha dato spazio a una voce connessa alla propria anima. Oggi quello che scrivo oggi lo interpreto con maggiore intensità e credibilità. Non mi fermo più davanti a una sbavatura per ripetere la parte, non cancello più i respiri in editing perché fa figo. Anche io cerco nei miei ascoltatori un rapporto di fiducia e trasparenza. È la magia del podcast, bellezza, e tu non ci puoi fare niente, se non crederci e continuare a raccontare la tua storia.
Quanto alle voci degli spot pubblicitari, siamo delle meravigliose sensibilità, dedite a quell’unico scopo di attirare l’attenzione per pochi secondi. Tutta un’altra storia.