Voiceover e home studio: un problema?
Lavorare in casa uccide la creatività dell’artista della voce?
È una domanda che mi sono sempre fatto. Se stare tra le mura di casa sia dannoso per l’espressione artistica di noi doppiatori speaker pubblicitari. Alla fine cosa interessa ai nostri committenti? Generalmente ci chiedono preventivi, disponibilità, tempistica, ci danno qualche indicazione di interpretazione al microfono… Ma la parte creativa? Quel twist di sfumature che rappresentano l’emozione? Che fine fa, come è possibile ricrearlo semplicemente evocando un’idea di trattamento, un aggettivo…Un aspetto che viene dato per scontato e che si incarna con la percezione che il mondo ha del doppiatore pubblicitario. Di “quel” doppiatore pubblicitario. Si tratta di una caratteristica unica, distintiva, che tocca corde profonde e che per ciascuno di noi rappresenta la leva fondamentale per la quale occupa un posto nel panorama dello speakeraggio per l’audiovisivo e per la comunicazione in genere.
Difficilmente un producer sceglierà una voce di spot pubblicitari per la sua richiesta economica o perché costa poco. Vuole anche un elemento che soddisfi la sua idea, la sua aspettativa, l’investimento emotivo che ha effettuato nella produzione, non importa quanto budget abbia impiegato. Pensateci: ogni piccolo progetto rappresenta un investimento in termini di fatica, emozione, coinvolgimento. Perché mai non avere delle aspettative anche dal punto di vista del sonoro e della voce che utilizzerete?
Ecco perché noi doppiatori e voci italiane della pubblicità veniamo scelti. Forse anche perché siamo di buon carattere, disponibili, professionali (diciamo che queste qualità le diamo per scontate), ma soprattutto perché sappiamo offrire – a nostro modo – delle emozioni.
E così entriamo nel vivo del nostro tema: restare nelle quattro pareti dell’home recording studio uccide la creatività? La mia risposta è “un pochino sì”.
Come nutrire la versatilità di un voice artist?
Inutile che cerchiamo di negarlo. Non so come voi siate abituati ad aggirarvi per la casa. Io ad esempio odio vestaglia e pantofole e preferisco – sperimentato durante il lockdown – sentirmi come al lavoro. Quindi mi vesto di tutto punto. Ecco, a meno che non vogliamo sperimentare tutto il campionario di emozioni da abbrutimento domestico, anche la nostra voce risentirà dell’attitudine che mostriamo nel quodidiano. Separare il momento del relax, da quello nel quale esprimiamo tutta la nostra professionalità e la nostra creatività, credo sia un’accortezza fondamentale per mantenere la giusta tensione emotiva al microfono. E poi… e poi ci sono i colori dell’interpretazione dell’attore che vanno allenati, provati, sperimentati. E qui, nasce l’esigenza di mettersi in gioco fuori dalle mura domestiche. Il mio home recording studio è essenziale. Insonorizzazione giusta, le apparecchiature indispensabili per generare una voce al top della qualità. E nient’altro. Non uno strumento di comfort, niente luci soffuse, niente poltrone comode. Non ho intenzione di stare in studio a casa più del necessario. Per il resto ho là fuori una vita che mi aspetta e che ho bisogno di sperimentare in tutte le sue sfumature per poter restituire, quando mi viene richiesto, ogni singola emozione tutte le volte che la mia voce viene scelta per una produzione audio italiana.
L’importanza di sperimentare nella vita vissuta i colori della voce.
Okay, non tutti possiamo avere la vita di Ernest Hemingway che di cose vissute ci ha riempito un pezzo della letteratura moderna, e nemmeno possiamo pretendere di sperimentare sulla nostra pelle ogni tipo di esperienza che siamo chiamati a rappresentare nella pubblicità con la nostra voce, tuttavia penso che sia un elemento imprescindibile l’allenarsi tra le emozioni per essere in grado di restituirle con efficacia. D’altronde il bagaglio di noi attori doppiatori italiani è proprio questo: riuscire a veicolare con le emozioni i contenuti di un brand, attraverso la voce. Inutile quindi restare in casa, pena la standardizzazione di colori e toni che ci fanno sembrare identici sia doppiando uno spot per uno shampoo che per un’auto sportiva. Meglio uscire e mettersi in gioco. Costa, ma ne vale la pena.
Per questa ragione, quando vengo chiamato da uno studio di registrazione italiano per registrare uno spot preferisco sempre muovermi e andare nello studio. Mi sottopongo volentieri alle precauzioni anti virus con guanti, mascherine e… para auricolari di cuffie (ebbene sì), pur di confrontarmi con sound designer, producers, creativi, tutti attorno al nostro comune obiettivo: doppiare efficacemente uno spot in italiano.
Oggi le agenzie di comunicazione sono sempre di più caratterizzate dal lavoro in smart. Sono tutti a casa, account, creativi, producer. Persino i sound designer sono costretti a seguire una registrazione della quale non hanno il minimo controllo su microfono, preamplificazione, compressione ecc. Una mortificazione per la capacità professionale di tutte queste persone che conosco bene per la loro competenza e serietà. A voi il mio abbraccio, purtroppo virtuale! Ci rivedremo presto (spero) in sala!
Incontrare altri professionisti, esercitarsi insieme. Il segreto per il successo di uno speaker
Il segreto della versatilità e della capacità di interpretare correttamente ogni differente situazione, dunque, è la contaminazione. Tutti noi doppiatori della pubblicità abbiamo avuto un riferimento artistico nella nostra carriera e nella nostra crescita professionale. Certamente non è un aspetto da nascondere, anzi! Avere dei modelli di riferimento aiuta a crescere professionalmente, cercare dei toni ascoltiamo negli altri e che vorremmo fare nostri, ci permette di evolvere e cambiare, senza apparire necessariamente le brutte copie dei professionisti della voce che ci piacciono. Ma ascoltarli soltanto non basta: occorre comprendere come ragionano, come pensano, qual’è il loro carattere, per capire cosa genera in noi quella particolare emozione che vorremmo essere in grado di generare a nostra volta ogni volta che siamo davanti al microfono. Nella mia carriera ho avuto e ho ancora oggi tanti modelli. Non mi dispiace dire che ho amato da ragazzo Pino Locchi, il grande doppiatore di Sean Connery, e poi, tra le voci della pubblicità, il compianto Fabrizio Casadio. Oggi mi appassiono ascoltando Roberto Pedicini doppiare Kevin Spacey. Sono modelli, dicevo, che non significa che dobbiamo per forza somigliargli. Piuttosto ammirare la loro capacità di emozionare: l’unico effetto del quale dobbiamo avere il massimo rispetto quando parliamo di voci italiane per la pubblicità.
E allora usciamo di casa, andiamo per sale di doppiaggio, incontriamo i nostri colleghi, ascoltiamoli, parliamoci. Per una volta che il verbo “contaminare” rappresenta un valore positivo… non lasciamocelo scappare, vi pare?